Il Processo Civile Telematico e la Conservazione Documentale (I rischi di una relazione mai nata) – avv. Giuseppe Vitrani

I) Il processo civile telematico e il codice dell’amministrazione digitale

Con il presente articolo si propone un’ulteriore riflessione relativa ai rapporti intercorrenti tra processo civile telematico e codice dell’amministrazione digitale, anch’essa stimolata dalla recente emanazione del dpcm 13 novembre ’14 recante le “regole per la formazione, l’archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici” e dalle discussioni che sono nate dopo l’ormai famosa comunicazione con la quale il CNF ha chiesto al Ministero della Giustizia di introdurre “adeguati correttivi normativi volti a sancire l’indipendenza della normativa PT dal CAD o, perlomeno, dalle sue regole tecniche, predisponendo un’integrazione della normativa PT che regoli esaustivamente il tema del documento informatico“.

Detta richiesta, in commento alla quale la dottrina ha assunto posizioni variegate (e sulle quali non si intende ritornare in questa sede), pone di fondo un quesito cruciale e cioè: il processo civile telematico deve rispettare i principi e le regole tecniche del Codice dell’Amministrazione Digitale?

La risposta può apparire scontata ma così non è, stante che, prima dell’emanazione del Codice in commento (e comunque ancor oggi per le fattispecie non regolamentate dallo stesso), era consolidato l’orientamento secondo cui le norme sul documento amministrativo non trovavano automaticamente applicazione nel processo civile, esaurendo i loro effetti nell’ambito dei rapporti con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi (in tal senso v. Cass. 29 maggio ’14, n. 12065; conf. Cass. 15 dicembre ’06, n. 26937).

Le cose sono però radicalmente cambiate con la svolta telematica del processo civile; la norma che ha dato il definitivo impulso a tale svolta, vale a dire l’art. 4 del decreto legge n. 193/09, ha infatti previsto quanto segue: “con uno o più decreti del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione….sono individuate le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82” (ovvero il CAD – Codice dell’Amministrazione Digitale, n.d.r.).

È evidente il mutamento di prospettiva: con un formulazione legislativa forse discutile si sono rese le norme sul processo civile telematico addirittura attuative del CAD! Formulazione certamente discutibile, si diceva, dal momento che il lessico utilizzato dal legislatore porta a prefigurare il Codice come fonte quasi sovraordinata (quantomeno a livello di forza sostanziale) alla quale dovrebbe darsi attuazione attraverso leggi ordinarie e regolamenti. Al di là degli evidenti problemi di coordinamento a livello di sistema delle fonti, pare che un dato non possa essere messo in discussione e cioè che, fintantoché permarrà lo stato attuale della legislazione, il CAD e le relative regole tecniche dovranno trovare piena applicazione anche in ambito di processo civile telematico.

II) La conservazione documentale e le ricadute sul processo civile telematico

Chiarito quanto precede non si può non evidenziare come tra i principi ai quali si dovrebbe dare dare attuazione nel processo telematico, ci sarebbero anche quelli previsti dagli art. 43 e 44 del CAD e dalle regole tecniche emanate con il dpcm 3 dicembre 2013; ci riferiamo dunque al corpus di norme che il Codice dedica alla conservazione documentale.

L’introduzione di questo argomento va preceduta da una considerazione quasi banale; chi potrebbe pensare ad un ufficio giudiziario senza archivio o ad un processo con cause che (salvo le note lungaggini della nostra giustizia) non vengono mai archiviate? Certamente nessuno; peccato che nel processo telematico questa sia la realtà quotidiana e solo recentemente si stia cercando di ricorrere ai ripari ma con progetti ancora del tutto vaghi e senza un’esatta percezione del problema.

Nelle linee guida per la crescita digitale elaborate dall’AGID (Agenzia per l’Italia Digitale) leggiamo infatti che uno degli obiettivi per il periodo 2014 – 2020 è il “risparmio in termini di risorse hardware per l’archiviazione, in seguito a conservazione documentale”. Ci rendiamo così conto che il problema oggetto della presente analisi viene ancora inteso in termini prettamente economici, obliterando ben più importanti considerazioni di ordine giuridico già sollevate dalla dottrina.

Sullo sfondo incombe innanzitutto un rilevante problema giuridico dato dalla prossima entrata in vigore del regolamento UE n. 910/2014 (1° luglio 2016 per la norma che segue), che all’art. 3, comma I, n. 35), definisce il documento elettronico come qualsiasi contenuto adeguatamente conservato in forma elettronica; è evidente che laddove siffatta definizione venisse ritenuta immediatamente applicabile anche al documento informatico, e soprattutto al documento informatico processuale, potrebbero porsi addirittura problemi in merito all’esistenza giuridica di un documento non assoggettato a procedimento di conservazione[1].

Il tema è certamente interessante e dovrà essere adeguatamente approfondito dalla dottrina anche e soprattutto nell’ottica dei rapporti tra normativa processuale e normativa sulla documentazione amministrativa in generale cui abbiamo accennato ora.

Prima ancora del 1° luglio 2016, però, la mancanza di un sistema di conservazione rischia di creare notevoli difficoltà di gestione del processo civile telematico.

Valgano tre esempi emblematici al proposito: il giudizio di appello, la prova delegata ex art. 203 c.p.c. e il trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria previsto dall’art. 1 del decreto legge n. 132 del 2014.

Per quanto riguarda il giudizio di appello possiamo concentrare l’analisi sull’art. 347, III comma, c.p.c. ai sensi del quale “il cancelliere…richiede la trasmissione del fascicolo d’ufficio al cancelliere del giudice di primo grado”.

Nel “processo analogico” (chiamiamo così, per convenzione, il processo non telematico) il procedimento è semplicissimo e si risolve in un banale accesso all’archivio e alla successiva spedizione (a mezzo posta, per gli uffici che non siano sede di tribunale e corte d’appello) del fascicolo cartaceo. Le cose mutano radicalmente in presenza di fascicoli che possono essere integralmente telematici (si pensi ai procedimenti di lavoro) o anche solo in parte telematici, quali quelli del contenzioso ordinario; all’interno di tali fascicoli possono essere contenuti verbali di udienza, la nota di iscrizione a ruolo e anche la sentenza, tutti redatti in forma telematica.

In poche parole, l’intero fascicolo d’ufficio (o una sua parte preponderante) potrebbe essere digitale e in tale forma dovrebbe essere ovviamente trasmesso al giudice dell’impugnazione. Applicandosi anche in tal caso l’art. 347 c.p.c., il cancelliere del giudice di primo grado dovrebbe pertanto poter trasmettere un fascicolo digitale al cancelliere della corte d’appello e lo dovrebbe poter prelevare però da un archivio digitale che ancora non c’è[2].

Peraltro, la procedura delineata dal dpcm 3 dicembre ’13, se solo fosse implementata anche a livello di processo telematico, sarebbe semplice al pari di quella prevista per il processo analogico:

  • il fascicolo di primo grado diventerebbe un pacchetto di versamento destinato all’archiviazione ex art. 9 dpcm 3 dicembre ’13;
  • ricevuto tale pacchetto, il responsabile della conservazione documentale provvederebbe alla corretta archiviazione del fascicolo;
  • il cancelliere della Corte d’Appello chiederebbe la produzione del pacchetto di distribuzione, che conterrebbe appunto il fascicolo di primo grado conservato a norma di legge (e pertanto con protezione e salvaguardia della validità dei certificati di firma utilizzati nel corso del processo di primo grado);
  • il fascicolo potrebbe essere allegato al fascicolo informatico del giudizio di appello, che potrebbe dunque svolgersi regolarmente avendo a disposizione la documentazione, in originale, prodotta nel grado precedente.

Mutatis mutandis il medesimo ragionamento varrebbe anche per l’assunzione della prova testimoniale ai sensi dell’art. 203 c.p.c.

Anche in tal caso sussistono i sopra evidenziati problemi di trasmissione del fascicolo, che potrebbe essere integralmente telematico, e di allegazione dello stesso alla causa principale; e anche in tal caso i problemi potrebbero essere banalmente essere risolti attraverso l’adozione di un sistema di conservazione.

In tutti questi casi, l’esperienza di questi mesi insegna peraltro che il problema viene tamponato attraverso l’attivazione di una funzionalità di condivisione del fascicolo che permette anche al giudice dell’impugnazione di “vedere” il fascicolo del primo grado, che comunque, in tal modo, continua a non essere conservato a norma di legge e rimane perennemente visibile come se il procedimento di primo grado fosse ancora pendente.

Tale soluzione – tampone ha però il difetto di non rispettare la legislazione vigente e di generare un enorme traffico di dati informatici che va a gravare sui server ministeriali (già notoriamente soggetti a vari problemi di funzionamento); sorge dunque il legittimo sospetto che tale soluzione non sia replicabile su scala nazionale pena proprio gravi disservizi dell’intera infrastruttura.

E tale espediente mostrerebbe ulteriori debolezze nel caso di trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria previsto dall’art. 1 del decreto legge n. 132 del 2014 ex art. 1 d.l. 132/14. Il secondo comma di tale norma prevede infatti che “il giudice, rilevata la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, dispone la trasmissione del fascicolo al presidente del Consiglio dell’ordine del circondario in cui ha sede il tribunale ovvero la corte di appello per la nomina del collegio arbitrale”. Il processo prosegue poi davanti agli arbitri.

Anche di fronte a tale eventualità, ribadiamo che, anche a non voler rispettare le norme sulla conservazione, lo stratagemma della condivisione dei fascicoli sarebbe difficilmente utilizzabile nel caso di specie, visto che ci si troverebbe ad aggiungere quattro ulteriori soggetti (presidente del consiglio dell’ordine e tre arbitri), con conseguente abnorme aumento del traffico dati; inoltre nel caso di specie la condivisione non avverrebbe tra uffici giudiziari ma tra un ufficio giudiziario, il legale rappresentante di un ente pubblico (il presidente del consiglio dell’ordine) e tre avvocati (gli arbitri) e potrebbe rivelarsi non semplice proprio dal punto di vista tecnico.

Anche in tal caso, pertanto, l’unica soluzione sensata pare quella dettata dalla legge, ovvero il passaggio attraverso un sistema di conservazione e l’accesso al fascicolo mediante richiesta del pacchetto di distribuzione.

III) Un’occasione per una riforma organica

È evidente come tutte queste problematiche siano legate ad un difetto congenito alla nascita del processo civile telematico, che è stato strutturato su di un sistema informativo e non documentale[3] al quale possono e devono però essere apportati opportuni ed urgenti correttivi, pena (anche non volersi porre interrogativi giuridici di più ampio respiro) il serio rischio di grosse difficoltà di gestione del contenzioso, soprattutto dopo il 30 giugno ’15 allorché il processo telematico farà il suo debutto in corte d’appello e comunque nel momento in cui la mole di fascicoli digitali che si stanno formando attualmente in primo grado giungerà in fase di impugnazione.

Sarebbe inoltre, ad avviso di chi scrive, una grande occasione per ripensare l’intero processo telematico e per dargli finalmente la collocazione che merita, ovvero all’interno del codice di procedura civile. Riprendendo l’esempio citato sopra è evidente che una norma come l’art. 347 c.p.c. si presta in maniera perfetta a recepire i concetti della conservazione documentale; il terzo comma dell’articolo in commento potrebbe ad esempio essere riformulato nel modo seguente: “Il cancelliere provvede a norma dell’art. 168 e richiede la trasmissione del fascicolo d’ufficio al cancelliere del giudice di primo grado, ovvero l’esibizione del pacchetto di distribuzione contenente il fascicolo di primo grado”.

Tale ipotesi rende altresì evidente come attraverso un approccio sistematico si potrebbero affrontare tutti gli ulteriori problemi che discendono dall’incontro tra la normativa processuale e la normativa sulla conservazione documentale, così come tutti i problemi insiti nel rapporto tra processo civile e codice dell’amministrazione digitale.

Valga anche in tal caso un esempio, legato al rapporto tra fascicolo d’ufficio e fascicolo di parte.

È noto che atti, documenti e provvedimenti depositati da giudice, avvocati e cancellieri, se depositati per via telematica, affluiscono al fascicolo informatico di causa indistintamente (non essendo lo stesso diviso per sezioni, ad esempio: atti del magistrato / atti dell’attore / atti del convenuto), vengono registrati tutti insieme in ordine cronologico e sono consultabili sulla medesima piattaforma. A fronte di tale stato di fatto ci domandiamo se abbia ancora senso parlare di fascicolo di parte distinto dal fascicolo d’ufficio e ci diamo una risposta negativa, essendo evidente che il fascicolo informatico è strutturato come un unicum nel quale confluisce tutto ciò che viene depositato da parti e magistrato.

Traducendo quanto precede in termini di conservazione documentale, giungiamo alla conclusione che tutto il contenuto del fascicolo informatico di causa verrebbe verosimilmente versato in un unico pacchetto di archiviazione (anche perché selezionare atti o documenti da mandare in conservazione si tradurrebbe in una anacronistica perdita di tempo).

Se riprendiamo l’esempio dell’art. 347 c.p.c., pertanto, osserviamo che al cancelliere del procedimento di appello, a seguito dell’accesso al sistema di conservazione, giungerebbe un fascicolo contenente anche gli atti e i documenti depositati telematicamente dalle parti; ciò, evidentemente, renderebbe del tutto superfluo il deposito di analoga documentazione da parte dei difensori.

In conclusione, a chi scrive pare evidente come l’entrata in vigore a pieno regime del processo telematico porti con sé esigenze di modifiche evolutive a livello normativo e sistematico.

È infatti certamente necessario che detta normativa venga armonizzata con i principi cardine del codice dell’amministrazione (e l’operazione è pure obbligata dal chiaro disposto dell’art. 4 d.l. 193/09), quali ad esempio le regole tecniche sul documento informatico o le norme sulla conservazione, ma è altresì necessario che tale operazione di armonizzazione avvenga all’interno del corpus normativo dedicato alla celebrazione del processo, ovvero il codice di procedura civile.

Un intervento di tal fatta, certamente impegnativo e non semplice, è l’unico che potrebbe rendere duratura la svolta digitale del nostro processo dal momento che utilizzando le parole di un valente magistrato ora in Cassazione: sarà telematico ma è pur sempre un processo!

E poi il legislatore dovrebbe ricordare che le grandi riforme processuali partorite e pensate al di fuori del codice di procedura hanno avuto ben poca fortuna; per non andare troppo indietro nel tempo è sufficiente ricordare la triste fine del cosiddetto processo societario.

[1] propendono per tale ipotesi, ad esempio, A. LISI – S. UNGARO nell’articolo reperibile al seguente link http://www.agendadigitale.eu/egov/1358_le-lacune-del-processo-civile-telematico-in-fatto-di-conservazione.htm

[2] È evidente che non si potrebbe sopperire a tale mancanza stampando il contenuto del fascicolo digitale perché si avrebbe un’accozzaglia di fogli di carta privi di sottoscrizioni e pertanto privi di valore giuridico

[3] Ce lo hanno ricordato ancora da ultimo A. LISI – S. UNGARO nell’articolo sopra citato

Autore: avv. Giuseppe Vitrani

Data di pubblicazione: 24/2/2015

Link della prima pubblicazione:

http://www.ilcaso.it/articoli/786.pdf

 

ATTENZIONE! LEGGI IL DISCLAIMER

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