La procura alle liti, prevista dall’articolo 83 cpc, attribuisce al difensore i poteri indicati dal successivo articolo 84, e cioè gli consente di stare in giudizio quale rappresentante processuale del proprio assistito.
Tale articolo prevede che la procura speciale possa essere conferita in due modi: con separata scrittura privata autenticata oppure con procura in calce o a margine dell’atto.
Nel primo caso, previsto dall’art. 83, comma 2 cpc, non viene disciplinata un’attività di competenza dell’avvocato, infatti la firma del mandante deve essere autenticata da notaio o altro pubblico ufficiale competente a certificare l’autografia delle sottoscrizioni delle scritture private. Sì deve a tal proposito ricordare che l’autentica della firma comporta non solo il controllo della titolarità della sottoscrizione mediante l’identificazione del firmatario (nel caso di sottoscrizione digitale anche la verifica della validità del certificato elettronico utilizzato), ma soprattutto l’accertamento – che non rientra tra le competenze dell’avvocato, se non quando espressamente previsto dalla legge – che il documento sottoscritto non sia in contrasto con l’ordinamento giuridico.
Anche nel caso in cui la scrittura privata sia sottoscritta digitalmente dal mandante, valgono le stesse considerazioni, avvalorate dallo specifico art. 25 del D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’Amministrazione Digitale)[1], che disciplina appunto l’autentica della firma digitale.
Diversa è invece la fattispecie di cui al successivo comma dell’art. 83 cpc e cioè quando la procura è “interna” all’atto, cioè a margine o in calce. Nel qual caso compete all’avvocato la certificazione, non l’autentica, della firma del mandante: attività che tradizionalmente si limita all’identificazione del mandante e alla riferibilità della firma a quest’ultimo, nonché all’eventuale accertamento dei poteri rappresentativi di chi ha conferito la procura.
Con l’introduzione del processo civile telematico, e cioè con la possibilità di depositare in maniera telematica gli atti, sorgeva il problema relativo al fatto che la procura non poteva essere contenuta all’interno di un atto predisposto con un programma di videoscrittura e trasformato in un file .pdf.
Vediamo perché.
Per predisporre una procura interna all’atto si può astrattamente procedere in due modi: il primo comporta la trasformazione, mediante scansione, della procura cartacea in un file “immagine” da “incollare” all’interno dell’atto.
Tale soluzione non era percorribile.
Infatti la stessa prima di tutto era ed è in contrasto con le regole tecniche o più propriamente con le specifiche tecniche – le quali prevedono che l’atto del processo sia predisposto in formato .pdf testuale (art. 12 Provvedimento 16 aprile 2014 del Responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia le ovverosia le specifiche tecniche[2], richiamato dall’art. 12 DM 44/2011 le cosiddette regole tecniche), mentre l’immagine della procura non lo è.
In secondo luogo la procura così predisposta non consentiva all’avvocato di attestare, come anche previsto dall’art. 22 CAD[3], la conformità del file immagine estratto dalla procura originale cartacea. Infatti prima delle specifiche tecniche del 16 aprile 2014 – che hanno introdotto un nuovo formato di firma di cui parlerò in seguito – l’unico formato di firma consentito era il CAdES (Cryptographic Message Syntax Advanced Electronic Signature, riconoscibile per l’estensione attribuita al file sottoscritto digitalmente: “.p7m”), che produce una “busta crittografica”. Per comprendere cosa significa sottoscrivere in formato CAdES un file dobbiamo innanzitutto non far riferimento a come viene apposta una firma di pugno. In termini “atecnici”, firmare digitalmente significa effettuare un’operazione che comporta l’avvolgimento, come dentro una buccia, dell’intero documento, rendendolo immodificabile. È evidente dunque l’impossibilità di apporre la firma CAdES in un luogo piuttosto che in un altro del documento digitale e quindi, per ciò che ci interessa, nemmeno in corrispondenza dell’attestazione di conformità al corrispondente documento cartaceo dell’immagine della procura “incollata” internamente all’atto.
L’altra modalità è quella di redigere la procura internamente all’atto, mediante un programma di videoscrittura, e quindi convertire il file in formato .pdf. Ma anche in questo caso ci si imbatteva nello stesso problema, ma sotto una diversa prospettiva. La firma del mandante sarebbe potuta ovviamente essere solo digitale. Ma per i medesimi motivi di cui sopra, la firma in formato CAdES avrebbe riguardato l’intero documento (che, come abbiamo visto, sarebbe stato “imbustato”), e quindi non sarebbe stata posizionabile nello specifico luogo dell’atto dov’è collocata la procura.
Un altro problema che si era posto con l’introduzione del processo civile telematico riguardava il fatto che la procura rilasciata su un documento digitale o reso digitale non può tecnicamente essere congiunta materialmente all’atto di riferimento, come previsto dal testo dell’art. 83 cpc, dopo la novella[4] del 1997.
Questa lacuna veniva però colmata dal legislatore nel 2009[5], che riprendeva la giurisprudenza ormai consolidata sul punto, la quale, in sintesi, parificava la congiunzione effettuata materialmente all’atto a quella realizzata mediante strumenti informatici, che nel caso sono costituiti dalla cosiddetta busta telematica (contenente l’atto principale e i suoi allegati, tra i quali la procura, come disciplinata dalle specifiche tecniche) che viene depositata telematicamente.
Ne deriva pertanto che chi intendeva depositare una procura in formato digitale, lo doveva fare mediante il deposito di un file separato dall’atto a cui la procura si riferisce.
Il metodo che è stato utilizzato finora, e che si seguirà ancora quando la procura è sottoscritta di pugno, è quello di predisporre la procura mediante un programma di videoscrittura, stampare il documento e farlo sottoscrivere di pugno dal mandante. La firma di quest’ultimo deve essere certificata dall’avvocato mediante l’opposizione, sotto la sottoscrizione del mandante, della firma di pugno da parte dell’avvocato stesso. Il documento cartaceo così predisposto deve quindi essere scansionato per essere trasformato in un file digitale, che l’avvocato sottoscrive digitalmente per autenticare la conformità della copia informatica rispetto al relativo documento cartaceo.
Ma non c’è solo questa modalità per il rilascio di una procura su supporto digitale: accade infatti sempre più spesso, in virtù della crescente digitalizzazione, che privati o legali rappresentanti di società siano dotati di dispositivi di firma digitale. In tal caso gli stessi possono apporre la loro firma digitale sulla procura creata su documento digitale nativo, e cioè mediante la conversione di un file predisposto con un programma di videoscrittura in un file .pdf testuale.
Ci si chiede se tale tipo di sottoscrizione debba essere certificata dall’avvocato ed eventualmente come tale certificazione debba avvenire.
Per affrontare il problema è opportuno ricordare che la firma digitale è costituita da un certificato qualificato (art. 28 CAD) rilasciato da un certificatore (art. 26 CAD) accreditato (art. 29 CAD), che deve avere i requisiti previsti dall’articolo 27 del CAD. Per rilasciare il certificato, il certificatore deve, tra l’altro, identificare con certezza il soggetto a cui lo rilascia (art. 32, comma 3 CAD), garantire un servizio sicuro e tempestivo di revoca e sospensione dei certificati elettronici e tenere le informazioni relative al certificato qualificato dal momento della sua emissione almeno per venti anni. Per contro il titolare del certificato, oltre a commettere un reato nel caso in cui abbia dichiarato o attestato falsamente la sua identità o stato o altre qualità (art. 495 bis c.p.), è tenuto sia a custodire il dispositivo di firma, sia a utilizzarlo in via esclusiva (art. 32, comma 3 CAD). Ebbene tali requisiti sono il presupposto perché un documento sottoscritto con firma digitale abbia l’efficacia prevista dall’articolo 2702 cc (art. 21, comma 2 CAD).
È altrettanto necessario ricordare quanto sopra detto e cioè che l’avvocato certifica la firma del mandante e che il potere di autenticare la firma, disciplinato dal secondo comma dell’art. 83 cpc e dall’art. 25 CAD per la sottoscrizione digitale, compete solo ai notai e ai pubblici ufficiali a ciò autorizzati.
Ebbene, essendo la firma digitale già certificata da un soggetto accreditato, la stessa non ha bisogno di un’ulteriore certificazione da parte dell’avvocato.
Peraltro il testo dell’art. 83 cpc non prevede alcuna certificazione della firma quando la procura è apposta su “documento informatico separato sottoscritto con firma digitale”, a differenza della procura rilasciata su supporto cartaceo, dove la certificazione della firma del mandante è espressamente richiesta[6].
Ciò però non deve esimere l’avvocato dall’effettuare alcune verifiche.
Se prima di certificare la firma analogica del mandante l’avvocato lo deve sempre identificare, altrettanto deve fare, ma con modalità “informatiche”, se la firma è digitale. L’avvocato deve infatti, ai fini della verifica dei poteri rappresentativi, accertare la paternità della firma digitale verificando la corrispondenza tra il nominativo del mandante (ancor meglio del suo codice fiscale) e la titolarità del certificato di firma digitale, mentre, ai fini della sussistenza della procura, l’avvocato deve controllare se il certificato di firma è valido, perché se lo stesso fosse revocato, scaduto o sospeso equivarrebbe a mancata sottoscrizione (art. 21, comma 3 CAD). Queste verifiche non hanno bisogno di essere confermate mediante una specifica certificazione della firma da parte dell’avvocato, non solo per quanto sopra detto, ma anche perché le stesse sono effettuabili da chiunque. Tali operazioni sono infatti molto semplici: si può utilizzare un software di verifica della firma digitale e di estrazione dei files firmati[7], o, in alternativa, caricare il file sottoscritto digitalmente nella specifica pagina del Consiglio Nazionale del Notariato[8], che consente non solo di accertare la paternità della sottoscrizione e lo stato del certificato di firma, ma anche di estrarre il file sottoscritto.
Vediamo come si procede in pratica: l’avvocato predispone la procura mediante un programma di videoscrittura, trasforma il file in formato .pdf, che invia al mandante anche via email. Ricevuto il file, il mandante lo sottoscrive digitalmente e lo restituisce, anche per email, all’avvocato. Quest’ultimo deve effettuare le verifiche di cui sopra: cioè controllare se il testo della procura non è stato modificato (anche il file in formato .pdf è modificabile con appositi programmi), accertare la corrispondenza tra il nominativo del mandante e la titolarità del certificato di firma e infine verificare la validità del certificato.
Ferme le considerazioni sul fatto che la firma digitale apposta sulla procura digitale non deve essere certificata dall’avvocato, appare opportuno riprendere l’argomento sopra trattato in tema di impossibilità di contenere una procura all’interno di un atto digitale. Tali considerazioni valgono ancora per file sottoscritti con formato di firma digitale CAdES, ma, come detto, dal 16 aprile 2014 le specifiche tecniche hanno introdotto nel processo civile un ulteriore formato di firma digitale: il PAdES (PDF Advanced Electronic Signature).
Prima di analizzare gli effetti che tale novità ha prodotto sulle questioni trattate in questo articolo, vediamo quali sono le principali differenze tra tali formati di firme digitali.
Il formato PAdES:
- consente di sottoscrivere solo files .pdf,
- genera un nuovo file che mantiene l’estensione .pdf, pertanto se il file firmato viene salvato nella stessa cartella di quello originario lo sovrascrive,
- consente di posizionare la firma su una o più parti del documento,
- permette di aggiungere un segno grafico visibile sul documento, tra cui l’immagine della firma del titolare,
- permette di verificare i requisiti del certificato con alcuni programmi di lettura di files .pdf (in particolare Adobe Reader ha un plug-in che si collega alla CA e controlla la CRL),
Il formato CAdES:
- consente di sottoscrivere diversi tipi di files, non solo .pdf,
- genera un nuovo file che aggiunge al file originario l’estensione .p7m, pertanto se il file firmato viene salvato nella stessa cartella di quello originario non lo sovrascrive,
- non consente di posizionare la firma su una o più parti del documento,
- non permette di aggiungere un segno grafico visibile sul documento,
- permette di verificare i requisiti del certificato sono mediante i software di lettura di tale formato (vedasi note 6 e 7),
Tali differenze incidono sulle modalità di predisposizione della procura, nel senso che la firma digitale in formato PAdES può astrattamente essere collocata topograficamente in qualsiasi punto dell’atto. Quindi potrebbe essere apposta, come su un atto cartaceo, a margine o in calce dell’atto stesso e non necessariamente su un documento separato, come invece abbiamo visto che è necessario fare se la firma digitale è apposta in formato CAdES.
Con l’utilizzo del formato PAdES sarebbe anche indifferente se la procura a margine fosse generica. Pur essendo uno dei pochi Paesi europei che richieda all’avvocato un documento come la procura, volto ad attestare il potere di rappresentare il proprio cliente in causa, la costante giurisprudenza, addirittura consolidatasi dopo la novella apportata nel 1997 all’art. 83 cpc, richiede infatti la riferibilità della procura al giudizio cui l’atto accede. In tal caso però sarebbe evidente che la procura non potrebbe che riferirsi all’atto, dato che la stessa è contenuta nello stesso file dell’atto, peraltro predisposto in un formato non modificabile, come quello .pdf, e poi sottoscritto digitalmente. Peraltro dopo la sottoscrizione digitale il file diviene di fatto immodificabile, o comunque qualsiasi modifica apportata al file corromperebbe la firma.
Diverso sarebbe il caso in cui la procura fosse generica e “incollata”, come immagine, a margine dell’atto. Anche se in questi anni si è adottata la prassi di far sottoscrivere al cliente la procura generica posta a margine della prima pagina dell’atto e depositare il file di tale pagina scansionata, si deve evidenziare che la tecnologia permette di “fotografare” la procura e riprodurla a margine dell’atto che può quindi essere redatto successivamente al rilascio della procura. Quali certezze vi sarebbero in tal caso sulla riferibilità all’atto se la procura fosse generica?
Questa considerazione apre a un ulteriore problema e cioè quello dei controlli: attualmente ogni verifica sulla firma è delegata al sistema del Ministero di Giustizia, che lo effettua automaticamente, emettendo la terza PEC attestante l’esito di tali controlli. Allo stato[9], né il giudice, né l’avvocato di controparte, e in parte nemmeno la cancelleria possono verificare se l’atto è sottoscritto digitalmente con firma valida dal difensore: si è infatti scelto, come detto, che tale accertamento sia rimesso al sistema. Tali controlli automatici su paternità e validità della firma del difensore sono del resto assolutamente efficaci.
Il sistema verifica la validità del certificato di firma al momento del deposito, cioè quando il sistema ministeriale scarica la busta. Tale momento, salvo fermi del sistema, corrisponde di massima a quello indicato nella seconda PEC, che attesta l’avvenuto deposito telematico.
Da un punto di vista sostanzialistico tale scelta tecnica appare condivisibile, sia perché impedisce ai soggetti del processo di svolgere un’attività tanto ridondante quanto inutile, sia perché consente agli operatori del diritto di non trasformarsi in tecnici informatici, sia infine perché permette a tutti di concentrarsi sugli aspetti sostanziali della controversia, sottraendo spunti di ulteriori eccezioni formali, di cui l’ordinamento italiano non sente certamente il bisogno.
Da un punto di vista tecnico tale scelta, allo stato, mostra però dei limiti.
Se da una parte il certificato di firma dell’avvocato deve essere valido al momento del deposito dell’atto, tale considerazione non vale per il certificato di firma del mandante. Infatti tale certificato deve essere valido al momento del rilascio della procura, non necessariamente anche quando la stessa viene depositata telematicamente. In pratica si può verificare che il mandato sia stato sottoscritto con certificato valido, ma che lo stesso sia scaduto, revocato o annullato prima del deposito del mandato. In tal caso il sistema rileverà, peraltro con errore bloccante, l’invalidità del certificato di firma del mandante. Ciò comporta il fatto che, oltre ai controlli di cui ho parlato sopra, l’avvocato dovrà anche accertare che la scadenza del certificato di firma del mandante non sia prossima, perché, se così fosse, l’avvocato dovrà avere l’accortezza di depositare la procura prima della scadenza del certificato di firma. In alternativa, per evitare contestazioni, il sottoscrittore dovrà apporre sulla sua firma la marcatura temporale ai sensi e per gli effetti previsti dall’art. 62 DPCONS del 22 febbraio 2013[10].
Un altro problema è che il sistema non compara il codice fiscale dell’avvocato o del mandante, contenuto nel certificato di firma, con quello inserito al momento della creazione del fascicolo telematico mediante il redattore atti e importato nella busta telematica e quindi nel file “datiatto.xml“, contenuto nella stessa busta come allegato all’atto principale. In altre parole il sistema non prevede un percorso di associazione al momento della predisposizione della busta telematica né tra il mandante e il suo certificato di firma, né tra la procura e l’atto a cui accede.
Proprio perché ritengo che le verifiche debba continuare a farle il sistema, penso sia opportuno che lo stesso sia al più preso integrato e migliorato.
Seguendo la medesima ottica sostanzialistica viene però naturale anche chiedersi se tali problemi sono così rilevanti o forse non varrebbe la pena di presumere la rappresentanza processuale dell’avvocato, senza bisogno di inutili formalismi, com’è ritenuta la procura nella parte più civile dell’Europa?
[1] Art. 25. Firma autenticata – 1. Si ha per riconosciuta, ai sensi dell’articolo 2703 del codice civile, la firma elettronica o qualsiasi altro tipo di firma avanzata autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. 2. L’autenticazione della firma elettronica, anche mediante l’acquisizione digitale della sottoscrizione autografa, o di qualsiasi altro tipo di firma elettronica avanzata consiste nell’attestazione, da parte del pubblico ufficiale, che la firma è stata apposta in sua presenza dal titolare, previo accertamento della sua identità personale, della validità dell’eventuale certificato elettronico utilizzato e del fatto che il documento sottoscritto non è in contrasto con l’ordinamento giuridico.
[2] Art. 12. Formato dell’atto del processo in forma di documento informatico – 1. L’atto del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente all’ufficio giudiziario, rispetta i seguenti requisiti: a) è in formato PDF; b) è privo di elementi attivi; c) è ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini; ….
[3] Art. 22. Copie informatiche di documenti analogici – 1. I documenti informatici contenenti copia di atti pubblici, scritture private e documenti in genere, compresi gli atti e documenti amministrativi di ogni tipo formati in origine su supporto analogico, spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, hanno piena efficacia, ai sensi degli articoli 2714 e 2715 del codice civile, se ad essi è apposta o associata, da parte di colui che li spedisce o rilascia, una firma digitale o altra firma elettronica qualificata. La loro esibizione e produzione sostituisce quella dell’originale. 2. Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono estratte, se la loro conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, con dichiarazione allegata al documento informatico e asseverata secondo le regole tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 71. 3. Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 71 hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta. 4. Le copie formate ai sensi dei commi 1, 2 e 3 sostituiscono ad ogni effetto di legge gli originali formati in origine su supporto analogico, e sono idonee ad assolvere gli obblighi di conservazione previsti dalla legge, salvo quanto stabilito dal comma 5. ….
[4] Art. 83, come modificato dall’art. 1, L. 27.5.1997, n. 141: “La procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all’atto cui si riferisce”, …
[5] Art. 83, come modificato dall’art. 45, 9° comma, L. 18.6.2009, n. 69: “…, o su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale e congiunto all’atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, individuati con apposito decreto del Ministero della giustizia. Se la procura alle liti è stata conferita su supporto cartaceo, il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette la copia informatica autenticata con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi in via telematica”.
[6] Art. 83 cpc – … In tali casi l’autografia della sottoscrizione della parte deve essere certificata dal difensore.
[7] L’elenco dei software è riportato nel sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale: http://www.agid.gov.it/identita-digitali/firme-elettroniche/software-verifica.
[8] http://vol.ca.notariato.it/.
[9] Risulta però che i tecnici del Ministero stiano operando per consentire a breve ai soggetti del processo di effettuare tali verifiche.
[10] Art. 62 Valore delle firme elettroniche qualificate e digitali nel tempo – 1. Le firme elettroniche qualificate e digitali, ancorché sia scaduto, revocato o sospeso il relativo certificato qualificato del sottoscrittore, sono valide se alle stesse è associabile un riferimento temporale opponibile ai terzi che collochi la generazione di dette firme rispettivamente in un momento precedente alla scadenza, revoca o sospensione del suddetto certificato.