Secondo il Tribunale di Vercelli il deposito telematico può intendersi esteso a qualsiasi tipologia di atti, ancorché non compreso tra quelli indicati quali obbligatori o facoltativi nel D.L. 90/2014 (conv. L. 114/2014), restando irrilevante l’elencazione eventualmente contenuta nel decreto dirigenziale affidato al DGSIA. Deve, in tal caso, privilegiarsi l’intervenuto raggiungimento dello scopo a cui è destinato l’atto. L’eventuale utilizzo di un formato non rispondente ai formati descritti per il deposito telematico costituisce mera irregolarità, non rinvenendosi alcuna sanzione di nullità, necessitante di espressa previsione di legge.
Con ordinanza del 31 luglio 2014, il Tribunale di Vercelli aderisce ad un coraggioso orientamento, finora sostenuto (seppur non univocamente) da alcuni studiosi del PCT e preordinato ad ampliare il campo di operatività dei depositi telematici, senza forzare il dato normativo ma, anzi, aderendo letteralmente al testo di legge.
E’ ammissibile il deposito telematico di un atto processuale non previsto dall’art. 16 bis del D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, peraltro anche in un formato non ammesso dalle Specifiche Tecniche del Processo Telematico.
Questa la determinazione assunta in un procedimento avente ad oggetto il reclamo ex art. 669 terdeciesc.p.c., che il Giudicante precisa non rientrante tra gli atti individuati nel summenzionato art. 16 bis D.L. n. 179/2012 secondo cui: «… possono depositarsi in via telematica gli atti delle parti costituite, in altri termini possono depositarsi in via telematica solo gli atti endoprocessuali, essendo esclusi quelli introduttivi».
Sul punto pare opportuna una breve notazione: parlando di esclusione del deposito telematico può ritenersi limitativo il rinvio ai soli “atti introduttivi”, categoria troppo spesso richiamata dagli operatori, ma non per questo comprensiva univocamente di tutti gli atti di cui è obbligatorio quella modalità di deposito.
Si pensi alla chiamata in causa del terzo od all’atto di riassunzione od anche all’opposizione exart. 617, comma 1 c.p.c., sovente indicati quali atti introduttivi, benché successivi all’instaurazione del giudizio e successivi alla costituzione (i primi due) od all’inizio dell’esecuzione (il terzo) ed, in quanto tali, obbligatoriamente telematici.
Nel caso di cui si discute, l’uso di una terminologia più adeguata avrebbe reso impeccabile il contenuto di una decisione che si rivela comunque apprezzabilissima.
Essa prosegue rilevando che «La stessa norma (art. 16 bis – ndR) tuttavia non prevede alcuna sanzione in caso di deposito di un atto introduttivo in via telematica“, precisando che “Il deposito del reclamo ha la funzione di instaurare il giudizio, di consentire alla parte reclamante di costituirsi nel predetto giudizio, di chiedere la fissazione della prima udienza e di notificare il reclamo e il decreto di fissazione dell’udienza alle controparti»:
precisazione estremamente significativa perché utile a delineare lo scopo dell’attodepositato dalla parte che si costituisce.
E’ su questo profilo che si sviluppa il ragionamento seguito da quel Giudice e che finisce per confluire nella linea guida della sua decisione.
Il Tribunale specifica infatti che, ancorché taluni atti non siano previsti come telematici dall’art. 16 bis, D.L. n. 179/2012 (e quindi ipoteticamente inquadrabili, sulla base della precorsa giurisprudenza foggiana o patavina, nelle ipotesi di nullità più che di mera irregolarità), essi necessitano di contestuale valutazione sull’idoneità al raggiungimento dello scopo, in osservanza all’imprescindibile principio delineato all’art. 156 c.p.c.
A sostegno del richiamato parametro normativo, il provvedimento in esame rimanda ad un precedente giurisprudenziale, inspiegabilmente trascurato da altra giurisprudenza di merito, benché particolarmente apprezzabile, non foss’altro per l’autorevolezza della sua provenienza. Si tratta, in particolare di una sentenza della Suprema Corte di Cassazione (n. 5160/2009), evidentemente antecedente all’operatività del processo telematico ed utile ad asseverare la convinzione che il PCT sia solo modalità tecnica di gestione processuale e non nuovo rito processualcivilistico (come molti lo stanno trattando).
Condivisibile poi l’ulteriore considerazione svolta dal Tribunale piemontese, nella parte in cui menziona quell’altro inciso del già citato art. 16 bis in cui il deposito eseguito telematicamente deve ritenersi assoggettato al rispetto della normativa, anche regolamentare, in materia di trasmissione dei documenti informatici. Ricorda, in proposito, che, secondo quest’ultima, l’atto processuale telematico deve rivestire il formato del PDF nativo, non ammettendosi la scansione di un documento analogico, al contrario di quanto verificatosi nella fattispecie esaminata dall’A.G., attento però al contenuto letterale dell’art. 156 cpc che riconduce la nullità per vizi di forma all’espressa previsione di legge, invece non rinvenibile nel pluricitato art. 16 bis od in altra norma.
Determinante, infine, la considerazione conclusiva, che si sofferma sull’irrisolta questione della valenza dei decreti dirigenziali emanati dal DGSIA.
Scontato ed aderente – anche in questo caso – ai generali principi normativi, l’orientamento del Tribunale di Vercelli: nessuna forma di invalidità può essere comminata sulla base della normativa tecnica predisposta dalla DGSIA o riferita ai suoi contenuti. Essa ha pacificamente natura regolamentare o amministrativa subprimaria ed è quindi incapace di derogare alle disposizioni di cui all’art 156 cpc.
Attraverso questo iter si perviene ad una sorta di sanatoria del deposito eseguito telematicamente, qualificato mera irregolarità se non rispondente al formato previsto dal regolamento.
La pronuncia, sicuramente rilevante perché portatrice di nuovo orientamento giurisprudenziale di merito (completato dalle similari decisioni recentemente emesse anche dai Tribunali di Brescia, Matera, Palermo e Milano), ripropone la lettura suggerita, già
qualche mese fa, dal gruppo di studio che ha visto impegnati alcuni studiosi della materia (tra cui, oltre a chi scrive, gli avvocati Maurizio Reale, Nicola Gargano, Adriana Augenti e Patrizio Galeotti) e confluita in alcuni articoli appositamente dedicati (www.francescominazzi.net).
La sanatoria del deposito telematico sancita nella decisione commentata in questo articolo, esonera il Tribunale dall’applicazione dell’art. 162 c.p.c., ossia dall’ordine di rinnovazione dell’atto nel rispetto delle specifiche tecniche del formato, argomento che merita una sia pur telegrafica citazione in questa sede.
Si ritiene infatti opportuno auspicare il ricorso al rispetto dei formati ammessi, nell’intento di realizzare l’obiettivo principale del PCT: assicurare la circolazione del contenuto digitale dei documenti, velocizzando il lavoro di avvocati e giudici anche mediante le funzioni di cut&paste.
Opportuna, in questo contesto, avrebbe potuto quindi ritenersi l’applicazione dell’art. 182 cpc ed il contestuale ordine del giudice di «mettere in regola gli atti e documenti che riconosce difettosi» da eseguirsi mediante nuovo deposito del reclamo nel fascicolo informatico e nel formato corretto.
Motivazione e contenuti della decisione possono ritenersi buon punto di partenza verso il graduale riconoscimento del deposito telematico anche al di fuori dei circoscritti limiti di legge nel cui recinto esso sembrava destinato alla stregua delle prime pronunce intervenute sull’argomento.