La questione che intendo trattare in questa sede riguarda l’autentica da parte dell’avvocato (e successiva notifica) di atti e provvedimenti giudiziari presumibilmente non estratti dal fascicolo informatico.
Com’è noto, infatti, l’avvocato può autenticare, in proprio e senza pagare marche o diritti di cancelleria, gli atti ed i provvedimenti che lui stesso estrae dal fascicolo informatico (art. 9 bis DL “Orlando” n. 90/2014, conv. con L. n. 114/2014), ovvero dal fascicolo d’ufficio del PCT.
Da agosto 2014, gli atti ed i provvedimenti che si trovano nel fascicolo informatico sono pubblicamente muniti della famigerata “coccardina” (un tempo visibile solo lato-cancelleria), la quale è indice del fatto che i file sono stati sottoscritti digitalmente. Si tratta, ovviamente, di un mero indice sintomatico (giacché la prova in senso stretto della sottoscrizione digitale va verificata altrimenti), ma comunque di un indice assai significativo dal punto di vista psicologico.
Nata per tranquillizzare gli animi, la coccardina in parola finisce ora per produrre, suo malgrado, l’effetto opposto.
Càpita, infatti, che l’atto notificato (generalmente, il ricorso per decreto ingiuntivo) sia privo di tale coccardina, sebbene dichiarato conforme al file presente nel fascicolo informatico (che, invece, ne è munito).
In tal caso, l’autentica redatta dall’avvocato è corretta?
E, comunque, quid juris?
In effetti, ove l’atto o provvedimento autenticato sia privo della coccardina a margine, è lecito dubitare che esso sia stato estratto dal fascicolo informatico, ma piuttosto dal “fascicolo telematico di studio” (che molti redattori atti non distinguono chiaramente dal primo): il fascicolo informatico del polisweb equivale al fascicolo d’ufficio, mentre il fascicolo personale del redattore atti è paragonabile al fascicolo di studio (e non a quello di parte).
Ora, nel loro contenuto, gli atti o provvedimenti estratti dai due predetti fascicoli sono generalmente identici, fatta appunto eccezione per la coccardina (non presente nel file di studio, neppure ove questo sia firmato digitalmente), sicché, in mancanza di questa, l’autentica da parte dell’avvocato non sarebbe avvenuta in conformità a quanto stabilito dalla legge, secondo cui l’autentica dovrebbe addirittura riguardare “la sequenza di bit” (evidentemente diversa nei due file). Quindi, file ontologicamente diversi ed estratti da luoghi (rectius, fascicoli) diversi.
Sulle conseguenze di ciò, non esistono pronunce edite della giurisprudenza, né la dottrina ha ancora affrontato l’argomento.
Ma è facile prevedere che se ne occuperanno presto entrambe (il percorso standard dei vari problemi del PCT è infatti il seguente: dall’iniziale tabù, al successivo approfondimento giuridico dei tempi maturi, fino ad arrivare, nella fase finale, al gossip).
Ebbene, a mio personalissimo avviso, premesso che, anzitutto, l’autentica irregolare da parte dell’avvocato non pare comportare conseguenze penali di sorta (non è prevista, infatti, la figura del falso documentale colposo: Cass. Pen. Sezione V, sentenze 16.03.1992 n. 2888 e 21.02.2000 n. 1963) e mancando peraltro il vantaggio per l’agente (anche le copie correttamente estratte dal fascicolo, infatti, sarebbero state esenti da marche e diritti di Cancelleria), e premesso altresì che per eccepire l’irregolarità stessa è probabilmente necessaria una querela di falso (visto che l’avvocato autenticante è considerato pubblico ufficiale a tutti gli effetti), le giuridiche conseguenze di una tale “falsa” autentica possono ritenersi analoghe a quelle cui si è pervenuti a proposito della notifica di sentenza in copia non autentica, e precisamente:
– mera irregolarità platonica (Cass. civ., sez. lav., 19 agosto 2004, n. 16317, conforme Cass. 6272/84);
– folgorante nullità insanabile (Cass. civ., sez. lav., 19 maggio 1997, n. 4454).
Quanto sopra va infine coordinato con il principio secondo cui l’opposizione a decreto ingiuntivo (nel quale appunto formalmente rilevare e far conseguentemente constatare la presunta irregolarità dell’autentica nei casi in cui si verifica più frequentemente) instaura un autonomo giudizio (Tribunale di Modena, Cividali S., sentenza n. 892 del 28 maggio 2010), nel quale la domanda monitoria può comunque trovare accoglimento, a cognizione piena, nonostante i vari vizi del decreto opposto, ferme restando in tal caso le conseguenze sulle spese delle due fasi.
Attendiamo sviluppi.